C'è anche un pezzo di Aquila nella Nazionale italiana che domani, martedì 5 settembre, gioca contro gli Stati Uniti nei quarti di finale dei Mondiali di basket in Asia: il trentino Salvatore Trainotti, oggi Direttore Generale del Settore Squadre Nazionali della FIP, è stato anima e mente della crescita trascinante del club bianconero dalla Serie C2 allo sbarco in Serie A e nelle coppe europee. Un percorso che lo ha portato ad affermarsi come uno dei manager più apprezzati del basket italiano e poi a diventare una figura di riferimento dell'Italbasket. Alla vigilia di una sfida storica, che domani sarà trasmessa anche all'Aquila Store dalle 14.40, abbiamo raggiunto telefonicamente Salvatore a Manila per farci raccontare le emozioni del "giorno prima". 

Salvatore, quali sono le sensazioni che si respirano nel gruppo azzurro a poche ore dall'ingresso nelle prime otto del mondo?  

«Tanto entusiasmo, e grande convinzione. Perché arriviamo a questo appuntamento dei quarti di finale mondiali dopo un lungo percorso, cominciato ancora prima di questo torneo e da questa estate di lavoro, cominciato con gli Europei dello scorso anno. Il gruppo ha acquisito consapevolezza vincendo partite pesanti, non ultime quelle con Serbia e Porto Rico degli ultimi giorni che avevano per motivi diversi significati importanti. Poi ci sono, come ovvio che sia in questi contesti, lo stimolo e il desiderio di andare a guadagnarsi una semifinale battendo chi a questi Mondiali è arrivato con il favore dei pronostici». 

Cosa potrà fare la differenza in una partita come questa? 

«A questi livelli non esiste "una cosa" che può fare la differenza in maniera assoluta: a far prevalere una o l'altra squadra sono un insieme di tanti aspetti, dettagli, situazioni. Di sicuro troveremo sul campo un livello di atletismo, quello degli Stati Uniti, che fino ad oggi non abbiamo ancora incontrato: dovremo essere bravi a compensare quel deficit con le caratteristiche che ci hanno portati fino a qui. Il senso di squadra, prima di tutto. Fino ad ora la nostra arma in più, ed è stato riconosciuto da tutti, è che abbiamo giocato come una squadra e non come una "selezione di giocatori". Questo ci ha permesso di andare oltre ai limiti e alle difficoltà e arrivare fino a qui».

Quanto è stato difficile e gratificante riuscire a costruire questo tipo di forte identità tecnica nel giro di poche settimane?

«Lavorare con la Nazionale è molto diverso che lavorare in un club. Grande merito va dato allo staff tecnico e ai giocatori che sono riusciti a farlo, imparando da tutte le situazioni che abbiamo vissuto e crescendo passo dopo passo sotto tutti i punti di vista».

Come si gestiscono le difficoltà all'interno di tornei temporalmente così concentrati? 

«In queste manifestazioni per nazionali una volta che si gioca la prima partita si va in apnea fino alla fine: non ci sono pause, bisogna essere concentrati 24 ore al giorno, i tempi sono così stretti che anche nei giorni in cui non si gioca occorre avere focus, recuperare le energie, prepararsi per la partita successiva. Non c'è tempo di vivere sugli errori, pensare alle sconfitte: occorre calarsi subito nella partita successiva. E' una grande difficoltà, uno dei tanti aspetti sfidanti di questo tipo di tornei. Ma è anche ciò che rende così entusiasmante essere parte dell'Italbasket».

Cosa pensa di aver portato all'interno dell'Italbasket in questi anni di lavoro da Direttore Generale del Settore Squadre Nazionali? 

«Quello che ho portato io e che cerco di portare ogni giorno è professionalità, è capacità di fare bene ciò che mi viene richiesto di fare: fare in modo che ci sia una buona chimica tra tutte le parti coinvolte, che ognuno sia nelle condizioni di contruibuire ad una visione generale delle cose. Fare in modo che le cose funzionino e che tutti i pezzi della macchina stiano bene assieme. Un ruolo diverso da quello che avevo a Trento ma che vivo con grande senso di responsabilità ed entusiasmo».

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